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Identità e tutela Val Resia

Il fascino leggendario del Monte Musi

 

Parliamo di montagne, ma l’immagine è quella dei muretti che i bambini più piccoli costruiscono sulla battigia, facendo defluire la sabbia bagnata dalle mani semichiuse e ravvicinate quasi in preghiera.

Ecco, sembra quasi che una grande mano sovrannaturale abbia modellato in questo modo la Catena dei Monti Musi, regalando loro la forma dai ripidi versanti e della creste frastagliate che tutti conosciamo.

Creste lungo le quali, quando sono sgombre da nubi, si muovono da secoli gli occhi e la mente degli uomini alla ricerca di passaggi, all’inseguimento di fantasie che il tempo ha trasformato in affascinanti leggende.

Nei libri che parlano dei Musi si legge di “un’imponente bastionata che si eleva repentinamente dalle quote più basse”. Effettivamente risalendo da sud la Valle del Torre questa è l’impressione: una muraglia invalicabile che protegge i segreti della Val Resia.

Ed il medesimo effetto lo regala il versante settentrionale, che però si presenta più dolce sulle pendici occupate da faggete e prati incolti e impreziosita da quel gioiello idro-geologico che è il Fontanone Barman: un’impetuosa cascata ricca di acque che portano con sé i misteri racchiusi nelle viscere della montagna.

E che di acqua ce ne sia molta non è proprio un caso dal momento che sui Musi la pioggia notoriamente cade copiosa come da nessun altra parte in Italia. Questo ha influenza diretta sulla natura selvaggia dei luoghi. Selvaggio è infatti un altro termine che ben si presta a rappresentare l’essenza di questa catena e che l’ha fatta entrare a pieno titolo nel Parco delle Prealpi Giulie. Selvaggio però in grado di ospitare ai piedi delle pareti calcaree alcuni piccoli borghi dai nomi intriganti Tanataviele, Simaz, Sriegnibosc sul versante a meridione, Lischiazze su quello a nord. Abitati custodi delle rocce e delle grotte, delle acque e degli alberi, dei fiori, forti e delicati, e dei tanti animali che qua vivono; lì è il territorio dello scoiattolo e del camoscio, del picchio e dell’aquila. E negli ultimi anni anche dell’orso che piano piano ha ricominciato a visitare queste zone.

Scoprire questo mondo non è semplice. I sentieri, per la maggior parte tracciati nel corso dei secoli dai cacciatori ma anche da chi doveva portare i propri morti oltre la barriera di roccia, in lontane terre consacrate, ora in prevalenza accarezzano la base della catena e solo raramente si inerpicano per raggiungere e scavalcare le cime.

Chi però decide di percorrerli viene ben presto accolto da impagabili suggestioni che sembrano prenderlo per mano e condurlo ad immergersi in azzurre atmosfere rarefatte e poi su, in alto, fino a toccare le vette dipinte d’oro dal bacio del sole che sta tramontando. E lo sguardo può bearsi dell’eccezionale vista della pianura friulana fino al mare e della sottostante Val Resia con tutti i monti che le fanno da corolla.

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