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Identità e tutela Val Resia

Streghe e malefici nella tradizione popolare

To mara bet ninkakä rič

di Elena Merlino

La credenza della reale esistenza delle streghe e di numerosi altri malefici si è mantenuta a lungo nella tradizione popolare. Oggi è abbastanza evidente la sua caduta nelle nuove generazioni, ma per secoli queste fedi hanno costituito il sottofondo animistico di una visione della vita riscontrabile in moltissime altre zone d’Italia e d’Europa, per la somiglianza psicologica di quelle classi sociali che non hanno sostanzialmente partecipato alle grandi trasformazioni culturali del mondo moderno.Tutto il Friuli, tuttavia, rivela una certa originalità nei particolari, o meglio ancora, nel modo di vivere quelle credenze.

Le superstizioni, infatti, erano prima di tutto legate alla presenza, fortissima, di rilevanti interessi religiosi ed, inoltre, appaiono per lungo tempo innestate nella vita quotidiana.

Lea D’Orlandi in un suo articolo intitolato “ Stregonerie, malocchio, iettatura nelle tradizioni friulane” riferì: “ Durante le mie indagini avvertivo la presenza della strega in molti piccoli atti della vita quotidiana, in residui di mentalità di non dubbia origine, ma non credevo mi portassero a trovare, un po’ dappertutto, le sue malefatte, la sua figura viva e operante e il suo ricordo vicino e preciso”. E la stessa studiosa riferisce, nello stesso articolo, una vecchia preghiera serale che chiudeva la giornata di molte persone: “ … se Dio mi disès/ che pore jo non ves/ di stries nè di tristeds robes…”: una testimonianza tangibile di quanto queste credenze fossero radicate nel tessuto della vita quotidiana.

Anche nella Val Resia, legata in qualche modo al tessuto culturale friulano, ma anche al vicino mondo slavo con cui le somiglianze , a proposito del medesimo argomento, sono molto evidenti, si sono mantenute a lungo credenze e pratiche riferibili a stregoneria e malocchio, che la tradizione popolare non distingueva.  Un’eco di questa realtà è così finita, inevitabilmente, anche nel canto popolare, che più spontaneamente riferisce usi, costumi, modi di vivere, di amare, di lavorare, di pensare della gente.

E’ solo un accenno nella canzone “ Ta Osöjskä ” (to mara bet ninkakä rič ) ma bastante per solleticare la curiosità, appagata da alcune persone anziane interrogate sull’argomento. Sì, oltre a tutti gli spiritelli del bosco ( budekärzë ), a svariati altri esseri soprannaturali, ad anime senza pace vaganti nella notte ( vedäuzë ), la gente della valle   dava molto credito alla “ morä “ ( Morà nelle valli del Natisone,   Pesarìn, Pesarul, Smarca, Fràcula e Cjalcjut in svariate altre località della regione).   Rappresenta l’incubo notturno personificato dalla credenza popolare in spirito maligno. Valentino Ostermann precisa che : “ il cjalcjut o çhalçut è un diavolo o uno stregone che viene a sedersi sullo stomaco e impedisce la respirazione”. E poi aggiunge: “ Risulterebbe che sia piuttosto un essere umano, una specie di stregone che la notte si diverte ad assumere forme bestiali e a mettersi a seder sul petto dei dormienti ”. La “morà” poteva assumere qualunque sembianza: di chiave, di pagliuzza o di bestiolina , ma vi sono anche molte testimonianze sul potere che queste persone hanno di trasferirsi da un luogo ad un altro per “cjalcjà, vincolà, fragolà”, cioè calpestare o premere il prossimo. La tradizione vuole che, bruciando o uccidendo quel suo finto aspetto, si uccida il vero essere magico, permettendo così alla persona da cui era derivato di riacquistare il suo volto originario. Naturalmente si   ricorreva anche a dei mezzi per evitare questo contatto. Le testimonianze parlano di mele cotogne o melograne o corone di aglio o coroncine di erbe e fiori nei cassetti . Per impedirgli di entrare si potevano anche sovrapporre in croce, tre a tre, per tre sere consecutive, alcuni pezzetti di spago che poi al mattino si bruciavano. Anche le erbe,  sacralizzate nella “ Sängjunäuä nuć” (notte di san Giovanni) e raccolte nella stessa giornata, venivano conservate per allontanare ogni tipo di iettatura e tantissimi altri erano i metodi ritenuti efficaci, ma nella maggioranza dei casi bastava una benedizione del sacerdote o una preghiera.  Del resto la preoccupazione religiosa è andata mescolandosi alle tradizioni riguardanti la stregoneria e il malocchio per lungo tempo in tutto il Friuli e anche nella Val Resia.

 

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